Un primo test di laboratorio ha dato esiti incoraggianti. Ora i ricercatori spiegano il perché

Il lungo processo clinico con cui viene messo a punto un nuovo farmaco passa attraverso 3 distinte fasi, nelle quali si testano sia l'efficacia che la tossicità di una molecola su coorti sempre crescenti di soggetti. Idealmente, viene immediato pensare a un farmaco come a una microscopica molecola in grado di innescare una reazione e curare una malattia, ma anche un filamento di DNA o RNA può avere funzione di medicinale. E' il caso degli oligonucleotidi antisenso (ASO), concepiti con intenti terapeutici e rivolti al potenziale trattamento di patologie come l'atrofia muscolare spinale (SMA), la distrofia muscolare di Duchenne (DMD), o l'atassia di Friedreich (FRDA), per le quali ancora non esistono opzioni curative definitive.

Gli ASO sono brevi molecole di DNA a filamento singolo (in alcuni casi di RNA) che hanno la capacità di legarsi in maniera specifica ad un altro filamento di DNA o di RNA complementare, regolando l'espressione di un particolare gene. Il livello di affinità di questi filamenti è elevatissimo, tanto da far pensare di poterli usare in chiave terapeutica per bloccare l'espressione di geni contenenti mutazioni collegate a patologie neuromuscolari come l'atrofia muscolare spinale. Purtroppo, il salto dalla teoria alla pratica non è così semplice: lo sviluppo di queste molecole, infatti, va incontro a diverse difficoltà, soprattutto perché esse sono facilmente attaccabili da enzimi nucleari che degradano il DNA, sono instabili e richiedono un duro lavoro di sintesi per poter funzionare in maniera ottimale.

Come profusamente spiegato in una recente 'review', apparsa su JAMA Neurology e scritta dal prof. David R. Corey, dello UT Southwestern Medical Center (Texas, USA), per cercare di potenziare le funzionalità degli ASO e renderli in tal modo disponibili presso i diversi tessuti bersaglio, i ricercatori ne hanno modificato la struttura, ingegnerizzandoli. Esistono almeno 4 varianti di ASO: gli oligonucleotidi fosforotioati, più resistenti alla digestione da parte di enzimi noti come DNAsi, i gapmer, ottenuti dalla modifica della molecola di ribosio dei nucleotidi con l'aggiunta di gruppi alchilici in posizione 2', i BNA (Bridged Nucleic Acid), nei quali lo scheletro dell'RNA assume una conformazione che aumenta il grado di affinità con le sequenze bersaglio, e i morfolino, che attaccandosi all'mRNA bersaglio impediscono la traduzione delle proteine. Il blocco del processo di traduzione proteica a livello dei ribosomi è uno dei principali obiettivi dell'uso degli ASO, ma essi si sono resi utili anche nella modulazione del cosiddetto processo di 'splicing', come nel caso di nusinersen, farmaco recentemente approvato per il trattamento dell'atrofia muscolare spinale (SMA) negli Stati Uniti e in Europa.

Nello stesso articolo, il prof. Corey ha anche analizzato le ragioni a sostegno dell'ipotetico impiego degli ASO per lo sviluppo di una potenziale terapia per l'atassia di Friedreich (FRDA), una malattia neurodegenerativa assai rara che si caratterizza per la progressiva mancanza di coordinazione degli arti. I pazienti affetti da questa devastante patologia sperimentano una forma di atassia nel corso della deambulazione, alla quale segue un coinvolgimento oculomotorio e uditivo accompagnato da disfagia e, in alcuni casi, da cardiomiopatia e diabete mellito. Tutto ciò, determina un evidente peggioramento sia della qualità che dell'aspettativa di vita, la quale, di solito, non supera i 40 anni. La FRDA è causata da mutazioni a carico del gene FXN, che inficiano la regolare produzione di fratassina. Il deficit di questa essenziale proteina è alla base del graduale deterioramento del sistema nervoso centrale e periferico che caratterizza la malattia.

In recenti esperimenti di laboratorio, condotti proprio dal prof. Corey e da altri ricercatori dello UT Southwestern Medical Center, l'impiego di ASO, sotto forma di singoli filamenti di LNA (Locked Nucleic Acid, un tipo di RNA modificato), è stato testato in cellule estratte da pazienti con atassia di Friedreich, mostrando prime indicazioni promettenti (clicca qui per ulteriori approfondimenti). Ora, nel suo nuovo articolo, è lo stesso studioso americano a spiegare come questo successo preliminare dipenda dal particolare meccanismo che scatena la malattia: infatti, è l'instabile espansione della tripletta GAA sull'introne 1 del gene FXN a provocare un calo di produzione della fratassina. Sebbene tutto ciò accada in un introne destinato ad essere eliminato, la sequenza mutante espansa riesce a legarsi al DNA cromosomiale formando un loop che impedisce, fisicamente, la trascrizione dell'mRNA su cui sono riportate le informazioni per la sintesi della proteina. Grazie agli ASO, che si attaccano in maniera specifica alla sequenza con la tripletta espansa, non si giunge alla formazione del loop e l'espressione della fratassina ritorna a livelli quasi normali.

È un punto d'inizio importante per trovare una soluzione al problema di una malattia che, ad oggi, non prevede un trattamento specifico e che, colpendo organi vitali come il sistema nervoso, il cuore e il pancreas, si rivela estremamente letale. Di indiscutibile importanza, secondo il prof. Corey, è la continua ricerca sul fronte degli ASO, che ha potuto portare a un successo come quello del farmaco nusinersen, la cui realizzazione ha implicazioni di primaria rilevanza anche per la cura dell'atassia di Friedreich e di altri disordini neurologici. Imparando dall'esperienza e correggendo, di volta in volta, i punti di debolezza di questi composti, sarà possibile svilupparne delle versioni sempre più stabili ed efficaci, che potrebbero costituire delle armi di nuova generazione nella lotta a patologie ancora orfane di terapia.

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