Scheletro

Negli ultimi anni sono stati sviluppati numerosi trattamenti, ma il numero dei pazienti esaminati negli studi è esiguo: servono ulteriori dati

Colonia (GERMANIA) – Gli attuali regimi di trattamento per le malattie scheletriche rare consistono principalmente in approcci sintomatici, come la fisioterapia e le procedure chirurgiche. Nell'ultimo decennio, però, l'aumento delle conoscenze nel campo delle malattie rare ha portato a nuovi orientamenti terapeutici: una migliore comprensione delle diverse fisiopatologie alla base di una stessa malattia consente infatti, oggi, varie strategie per un trattamento farmacologico più personalizzato, come il denosumab nell'osteogenesi imperfetta di tipo VI o il burosumab nell'ipofosfatemia legata all'X, una forma di rachitismo ereditario dovuto a mutazioni nel gene PHEX.

Ricercatori cinesi hanno individuato anomalie genetiche non conosciute associate alla sindrome di Cornelia de Lange e alla sindrome di Rubinstein-Taybi

La sindrome di Cornelia de Lange e la sindrome di Rubinstein-Taybi sono entrambe malattie malformative rare, congenite, causate da mutazioni in geni che hanno un ruolo nell'attività di trascrizione, cioè quel processo biologico che porta alla formazione di una molecola di RNA a partire da uno specifico tratto di DNA. La sindrome di Cornelia de Lange (CdLS) è una malattia multisistemica caratterizzata da malformazioni multiple, ritardo mentale e della crescita e difetti che possono coinvolgere vari organi; la sindrome di Rubinstein-Taybi (RSTS), invece, è contraddistinta da anomalie congenite, disabilità cognitiva e disturbi comportamentali.

Il dott Nicola Normanno, dell’Istituto Pascale di Napoli, spiega il funzionamento di questo moderno approccio di analisi molecolare

Generalmente con il termine “biomarcatore” ci si riferisce a un qualunque segnale biologico correlabile a un processo fisiologico, a una condizione patologica o alla risposta a una terapia. È in questa accezione che vanno spiegati il senso e il significato della biopsia liquida, il cui principale impiego al momento è legato all’analisi delle mutazioni del gene EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in stadio avanzato.

Si chiama RAD52 la proteina in grado di far sì che il processo di replicazione del DNA fili liscio, perché protetto da tutti quegli ostacoli in grado di bloccarne la progressione. Un 'salvataggio' particolarmente importante nel caso delle cellule tumorali, in cui, a causa della loro capacità proliferativa, i problemi in replicazione sono frequenti, come pure, sempre in virtù di questi, i fenomeni di resistenza ai chemioterapici. E’ questa proteina che un team di ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità, guidati da Pietro Pichierri e Annapaola Franchitto, in collaborazione con i colleghi dell’Università dell’Iowa, coordinati da Maria Spies, ha identificato e studiato in un’indagine pubblicata su Nature Communications.

Milano – Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre 600 milioni di persone al mondo soffrono di obesità – una vera e propria pandemia globale – e hanno per questo un maggiore rischio di sviluppare patologie come il diabete, l’ipertensione o il cancro. La genetica spiega solo una frazione dei casi: la malattia è infatti per lo più dovuta a stili di vita poco sani, come la sedentarietà o una dieta ipercalorica; è ancora poco chiaro tuttavia come questi stili di vita influenzino cellule e tessuti a livello molecolare, dando origine alla condizione patologica. Simona Pedrotti, del gruppo di ricerca guidato da Davide Gabellini all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, ha scoperto il ruolo di una coppia di enzimi nel regolare il metabolismo dell’organismo in risposta alla modificazione dell’ambiente esterno, come il cambio della dieta assunta o della temperatura a cui l’organismo è esposto.

Le malattie rare senza diagnosi rappresentano circa il 30%del totale delle malattie rare. Un “grave problema da risolvere”, come definito da Giuseppe Novelli dell’Università Tor Vergata di Roma, al quale si sta cercando di dare una soluzione attraverso la nuova iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità ribattezzata Undiagnosed Diseases Network SUD, o più semplicemente UDN-SUD. Il progetto coinvolge quattro Centri clinici di Regioni del sud e del centro Italia, quali Puglia, Sicilia, Calabria e Abruzzo, afferenti alla Rete Nazionale Malattie Rare e realizzata con il sostegno incondizionato di Farmindustria.

Il dato emerge da un recente studio internazionale coordinato dal San Raffaele di Milano

Le linee guida in tutto il mondo sottolineano come l’anestesia volatile (o inalatoria) sia preferibile rispetto a quella di tipo intravenoso per i suoi effetti cardioprotettivi nelle operazioni cardiochirurgiche, come il bypass aortocoronarico. Uno studio multicentrico pubblicato sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine dimostra, invece, che non c’è alcuna differenza fra i due tipi di anestesia dal punto di vista della sicurezza.

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