L’emofilia è una malattia rara di origine genetica legata alla coagulazione del sangue: si manifesta solo nei maschi, mentre le donne possono essere portatrici sane. Questo perché si eredita, in modalità recessiva, attraverso il cromosoma X (X-linked) ed è caratterizzata dalla carenza di uno specifico fattore della coagulazione. Ne esistono principalmente due forme, l'emofilia A e l'emofilia B: la prima è dovuta alla carenza di Fattore otto (FVIII), la seconda alla carenza di Fattore nove (FIX). La prevalenza è 1 caso ogni 10.000 per l’emofilia A, che è dunque il tipo più diffuso, e 1 caso ogni 30.000 per l’emofilia B. Le manifestazioni sono simili in entrambi i casi e, più che dal tipo, dipendono dalla gravità della malattia, che viene determinata in base alla gravità della carenza di attività del fattore coagulante. Se il valore dell’attività del fattore coagulante è minore all’1% si parla di emofilia grave, se la percentuale di attività è tra 1 e 5 si parla di emofilia moderata e se invece è tra il 5% e il 40% si parla di emofilia lieve, tanto per il tipo A che per il tipo B. Esiste anche una forma di emofilia ultra rara: l'emofilia A acquisita.

Il codice di esenzione dell'emofilia è RDG020 (afferisce al gruppo "Difetti ereditari della coagulazione").

La sezione Emofilia è realizzata grazie al contributo non condizionante di Sobi.

Emofilia, Sobi

Le persone con emofilia provengono quasi sempre da famiglie con una familiarità verso la malattia e questo rende più facile la diagnosi nel caso in cui si manifestino emorragie di una certa entità con lenta risoluzione e si riscontri un allungamento dell’aPTT in corso di esami ematochimici (nella norma, invece, risultano il tempo di protrombina (PT), il tempo di emorragia e la conta piastrinica). Per arrivare alla diagnosi definitiva si fa il dosaggio dei due fattori coagulanti otto e nove e, attualmente, viene eseguita anche la ricerca della specifica mutazione genica che porta alla malattia. Le donne possono risultare portatrici sane della malattia, mentre le tecniche di diagnosi prenatale vanno affinandosi sempre di più sia in precisione che in precocità e sicurezza per il feto.

In genere, le persone affette da emofilia, oltre alle problematiche tipiche dello stato emorragico, presentano anche altre complicanze correlate alla malattia. Le principali complicanze dell'emofilia sono gli emartri, sanguinamenti che avvengo all'interno delle articolazioni (gomito, polso, caviglia, ginocchio, etc.) e che, se non immediatamente e adeguatamente trattati, possono portare ad artropatia cronica e disabilità. In caso di trauma, la persona con emofilia può rischiare anche l'emorragia cerebrale, ma più diffuse sono le emorragie muscolari, che possono dare gravi difficoltà nel movimento, e ancora le emorragie gastro-intestinali (ematemesi, melena, proctorragia), le emorragie in cavità (emotorace, emoperitoneo, emopericardio), le emorragie dell’oro-faringe, l'emoftoe, l'epistassi, l'ematuria, le emorragie oculari e gli ematomi spinali. Sebbene rari, alcuni di questi sanguinamenti rappresentano urgenze mediche che devono essere diagnosticate e trattate precocemente, specie se possono mettere in pericolo le funzioni vitali (es: emoftoe, emorragie di lingua e collo, etc.).

Attualmente, il trattamento dell’emofilia avviene attraverso la somministrazione del farmaco (emoderivato o ricombinante) contenente il fattore coagulativo carente. I due principali regimi terapeutici per l'emofilia sono: la terapia “on demand” (al bisogno, cioè al momento del sanguinamento) e la profilassi, che invece prevede la somministrazione costante del fattore carente per prevenire le emorragie gravi e proteggere i pazienti. Si tratta di infusioni che devono essere effettuate circa 3 volte a settimana. Da diversi mesi, per la terapia di profilassi sono disponibili anche i farmaci ricombinanti a emivita prolungata, che comportano numerosi vantaggi, permettendo un numero di infusioni inferiore a parità di protezione per i pazienti. In futuro, per l'emofilia potrebbe rendersi disponibile la terapia genica.

Nei Paesi più evoluti, come l’Italia, da anni, ossia da quando sono disponibili in commercio i concentrati, viene largamente utilizzata l’autoinfusione domiciliare. L’utilizzo da parte dei pazienti di questi farmaci avviene sotto la guida e il controllo periodico dei centri emofilia. Per ulteriori informazioni sull'autoinfusione clicca qui.

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Fonte principale:
- Orphanet

“Lo studio RODIN pubblicato sul NEJM è certamente uno studio ampio ma ha tutti i limiti di uno studio osservazionale, cosa ben diversa da uno studio clinico randomizzato. Proprio per questo ritengo che i risultati ottenuti non cambino nulla nella gestione clinica del paziente”. A dirlo ad Osservatorio Malattie Rare è il Prof. Pier Mannuccio Mannucci, Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore di Milano, certamente uno dei maggiori esperti di questa patologia in Italia.

E’ composta da fattore IX e albumina umana, rimane attiva 5 volte più a lungo degli altri

MILANO –     Essere affetti da Emofilia B grave significa oggi doversi iniettare endovena il fattore IX (FIX) 2 o 3 volte la settimana, fin da piccolissimi. Non è piacevole, talvolta nemmeno facile e questo porta talvolta ad una scarsa aderenza, con rischi di emorragia per il paziente. Per questo, recentemente, la ricerca si è spostata verso lo sviluppo di prodotti FIX caratterizzati da emivita più lunga, che possano permettere un numero inferiore di infusioni al mese.

Da una osservazione  fatta nel corso dello studio RODIN emerge differenza tra ricombinanti di seconda e terza generazione

Il 17 Gennaio scorso, sul New England Journal of Medicine, è stato pubblicato uno studio, lo studio RODIN, disegnato per comparare l’insorgenza dell’inibitore nei pazienti con Emofilia A.
Alla fine dello studio i ricercatori hanno notato - e questo era il terzo obiettivo di ricerca dello studio, dopo il paragone emoderivati/ricombinanti e dopo una verifica sul ruolo del fattore di Von Willebrand, presente solo negli emoderivati, sullo sviluppo dell'inibitore -, che esiste tra i ricombinanti di seconda generazione e quelli di terza generazione una differenza nel predisporre all'inibitore. Una differenza che va a vantaggio dei prodotti di terza generazione.

Un grande studio chiamato ‘RODIN’, pubblicato sul New England Journal of Medicine, elimina il dubbio.
Molinari: “E’ uno studio di grandezza significativa che ferma l’ipotesi del ritorno agli emoderivati”
Per l’Italia hanno partecipato il centro emofilia del Gaslini e quello di Milano

GENOVA - Nelle terapie per l’Emofilia si sono fatti grandi passi avanti negli ultimi anni. Rimane però un problema grave, quello dello sviluppo di anticorpi inibitori dopo un primo periodo di trattamento con l’infusione del fattore carente (il Fattore VIII per l’emofilia A). Secondo gli schemi più attuali, il trattamento con i concentrati di FVIII inizia dalla primissima infanzia e dunque spesso questo problema insorge nei bambini.

Baxter International ha annunciato i risultati positivi della sperimentazione di BAX326, un fattore IX ricombinante sperimentale per il trattamento e la profilassi dell’emofilia B, nei pazienti con più di 12 anni d’età.

Si chiama Fisiocare e fa del “movimento” una terapia preventiva a misura di emofilico

Roma – E’ nato il progetto Fisiocare, il primo network nazionale di fisioterapisti specializzati nella terapia del movimento per le persone con emofilia. Entro dicembre il servizio, unico del suo genere in Italia, sarà disponibile gratuitamente presso i Centri Emofilia di Torino, Bari e Catania, i primi ad aderire al progetto, per poi estendersi rapidamente a tutti gli altri centri del territorio nazionale.

Uno studio australiano illustra rischi e benefici di una moderata attività sportiva

AUSTRALIA - Nel passato le persone affette da emofilia erano generalmente scoraggiate dal praticare sport di contatto, dato l'alto rischio di emorragie. Ora, grazie alla disponibilità di cure efficaci, la situazione è cambiata e talvolta una moderata attività fisica è consigliata, soprattutto ai bambini e agli adolescenti.
Un gruppo di ricercatori della New South Wales University di Sydney ha svolto uno studio allo scopo di valutare se l'attività fisica causa un aumento del rischio di emorragie.

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