Deriva da accumuli di glicogeno e porta alla morte in 4 – 10 anni

Oltre alla più nota, se pur rara, malattia di Pompe, esiste un’altra malattia – rarissima nei paesi occidentali – che è collegata ad un errore di origine genetica nel metabolismo del glicogeno: si tratta della Malattia di Lafora, un tipo di epilessia mioclonica molto grave che compare generalmente nell’adolescenza, lascia un’aspettativa di vita che varia tra i 4 e i 10 anni e si accompagna a  sintomi cerebellari e deterioramento psichico. Attualmente per questa malattia, che è nota soprattutto negli isolati geografici a elevata frequenza di matrimoni consanguinei, non esistono cure specifiche ma solo sintomatiche. Eppure la ricerca si sta muovendo, se pur ancora ad un livello preclinico. Lo dimostra uno studio appena pubblicato su Plos Genetic e condotto su topi da un gruppo di ricercatori canadesi dell'Università di Toronto.

Medici e psicologi possono partecipare ad un questionario on line per contribuire alla ricerca

Dei bambini intersessuali - di difficile assegnazione sessuale alla nascita o con sindromi genetiche rare come la sindrome di Turner, di Klinefelter o di Morris - e con problematiche legate all'identità di genere oggi non si parla spesso e gli interrogativi aperti sono molti anche in seno alla comunità medica:  quali terapie e trattamenti vengono sottoposti? Qual è il loro futuro dal punto di vista medico, psicologico e sociale? Per contribuire a dare una risposta a questo interrogativi è appena partito il progetto PROGETTO AGIO (Atypical Gender Identity Organization), finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna e co-finanziato attraverso il Fondo Sociale Europeo. Coordinatore del progetto è la dottoressa Barbara Cacciarru ricercatrice di psicologia dinamica, clinica e dello sviluppo dell’Università degli studi di Cagliari.

Oggi la speranza media di sopravvivenza è bassissima. In Italia a tirare le fila della ricerca c’è Siena Biotech, negli Usa invece la Northwest Biotherapeutics sperimenta nuovo farmaco specifico

La lotta al glioblastoma, uno dei peggiori e più rari tumori del cervello, si fa sempre più agguerrita. Mentre dagli Stati Uniti è appena giunta la notizia di un vaccino che potrebbe avere un impatto altamente positivo sulla sopravvivenza, in Italia si è tenuto un incontro tra grandi esperti internazionali organizzato da Siena Biotech per fare il punto sulla ricerca e creare un network di ricercatori di alto livello. L’obiettivo, in questo ultimo caso, è individuare - mettendo insieme ricerca accademia e ricerca clinica - nuovi target molecolari utili, se non proprio per sconfiggere, almeno per dare una forte battuta d’arresto a questa malattia che colpisce soprattutto gli adulti  (prevalentemente tra i 40 e i 75 anni) e che lascia assai brevi speranze di sopravvivenza, con un decorso che può essere così veloce da poter durare dai 2 o  3 mesi fino alla sopravvivenza media di 6 mesi - 1 anno.

Prevalenza e notorietà non sembrano andare di pari passo.

Quanto è diffusa una data malattia nella popolazione, quale è più o meno ‘rara’ dell’altra, quanta possibilità abbiamo di incontrare una persona affetta da una patologia specifica? Sono domande che sia i pazienti che la comunità scientifica si pongono spesso e che non sempre trovano una facile risposta. Da qui può nascere – non tanto nei ricercatori quanto nell’opinione comune -  qualche errore, come il credere  che alcune malattie di cui si parla molto siano più diffuse di altre sulla base della 'notorietà'.  Stando ai dati appena resi noti da Orphanet, però, sembra proprio che notorietà e prevalenza non siano così tanto legate. I dati sono quelli di uno studio pubblicato nei 'Quaderni'; si tratta dei risultati  di una indagine sistematica fatta per fornire una stima della prevalenza delle malattie rare in Europa. La pubblicazione consente di tracciare sia una sorta di ‘graduatoria’ della rarità delle malattie sia di capire, per ciascuna di queste, quanti casi – singoli o relativi a famiglie – siano stati pubblicati, facendo così, nella seconda parte dello studio, ordine nella bibliografia. Partiamo dal primo profilo, quello della prevalenza delle singole malattie rare.

Per la maggior parte  ci sono meno di 10 pazienti noti alla letteratura medica

Nei ‘Quaderni di Orphanet' pubblicati a Maggio non c’è solo la ‘classifica’ delle malattie rare in base alla loro prevalenza in Europa; il lavoro è andato ben oltre ed è servito anche per rimettere ordine nel bibliografia dei casi clinici pubblicati, un passo strettamente legato alla necessità, non ancora del tutto soddisfatta, di avere un quadro chiaro sul dato epidemiologico delle singole malattie. Ecco dunque che dal grande lavoro compiuto esce una classifica – pubblicata anche nella versione con le malattie in ordine alfabetico, per comodità d’uso – nella quale, per ciascun male raro, sono riportati il numero di casi o di famiglie studiate e su cui sia stata fatta una pubblicazione scientifica su fonti qualificate. Il primo posto spetta ad una malattia con una storia un po’ particolare, l’embriopatia da talidomide.

I risultati della ricerca utili nella lotta a diverse malattie, anche a quelle lisosomiali.

Continua la lotta del Tigem ai rifiuti cellulari: il team di Andrea Ballabio, direttore dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Napoli, ha gettato nuova luce sulla “squadra molecolare” che ripulisce le nostre cellule da sostanze di scarto e ne permette lo smaltimento e il riciclo. La scoperta, ottenuta grazie alla collaborazione tra i due laboratori del Tigem - quello di Napoli e quello di Houston presso il Jan and Dan Duncan Neurological Research Institute del Texas Children’s Hospital - si è meritata le pagine della prestigiosa rivista scientifica Science e conferma l’importanza di questo meccanismo biologico individuato per la prima volta nel 2009 proprio dai ricercatori partenopei.

In Toscana il centro di riferimento è Siena, in due anni ne hanno impiantati 13

Nuove possibilità di cura con i cuori artificiali trapiantati a Siena. E’ stata realizzata una nuova modalità di impianto che permette al cuore artificiale, una sofisticata turbina meccanica chiamata VAD, di poter essere applicato con due finalità diverse: una sostitutiva della parte sinistra del cuore, come soluzione alternativa e permanente al trapianto per tutti i pazienti che non sono candidabili all’intervento, e una detta di “ponte”, perchè in questo caso il VAD viene inserito solo come condizione momentanea in attesa della disponibilità di un organo per il trapianto vero e proprio. L’importante risultato è stato realizzato dal Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, diretto da Roberto Favilli, con la Cardiochirurgia dei Trapianti, diretta da Massimo Maccherini, la Terapia Intensiva Cardiotoracica, diretta da Bonizella Biagioli e la collaborazione del cardiochirurgo Massimo Massetti del policlinico di Caen.

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