Per ora  le terapie sono unicamente di supporto

Un recente studio multicentrico pubblicato su Neurology, e al quale ha partecipato anche una ricercatrice dell’Università di Siena, ha fatto un po’di chiarezza in più su una rara forma di leucodistrofia conosciuta come Malattie di Alexander (AXD). Questa malattia rara ha origine genetica ed è causata dalla degenerazione della materia bianca del Sistema Nervoso Centrale. Si tratta di una sindrome neurologica caratterizzata da un’alterazione della mielina e la presenza di fibre di Rosenthal (un gruppo di proteine anormali) che si accumulano negli astrociti, cellule cerebrali. La Malattia di Alexander è stata identificata nel 1949 in base a criteri neuroistologici e di questa sono state individuate svariate forme cliniche. E’ comunque una patologia rara generalmente sporadica, i casi familiari segnalati sono pochissimi. Secondo quanto riportato dallo studio, rivolto principalmente a stabilire una correlazione tra mutazione genetica e fenotipo (cioè i sintomi e l’evoluzione della malattia) la presenza di una mutazione nel gene che forma la proteina giliare fibrillare acidica (GFAP) e l’età di insorgenza della malattia sarebbero fattori predittivi.

La predisposizione genetica viene rivalutata rispetto alla cause ambientali, che non sono però da escludere.

Finalmente la conferma tanto attesa è arrivata, anche la Sla – Sclerosi Laterale Amiotrofica in forma sporadica ha delle cause genetiche. Il gene coinvolto in questa forma prevalente della malattia è stato individuato grazie ad una ricerca internazionale recentemente pubblicata su Neuron e alla quale hanno lavorato, insieme ad un gruppo di ricercatori americani anche quattro ricercatori italiani. Si tratta del prof. Adriano Chiò, direttore del Centro Sla delle Molinette di Torino e della dottoressa Gabrielle Restagno, del dipartimento di genetica molecolare del Sant’Anna di Torino, del Prof. Mario Sabatelli dell’Università Cattolica di Roma e del prof. Giuseppe Borghero dell’Università di Cagliari. La scoperta fatta, che identifica nel gene c9orf72 – un gene mai studiato fino ad ora e posto nel cromosoma 9 - il ‘responsabile’ per questa malattia, è veramente decisiva dato che fino ad oggi il difetto genetico coinvolto nella malattia era stato individuato solo per una piccola percentuale di casi, principalmente quelli di tipo familiare, mentre rimaneva misteriosa l’origine dei casi sporadici che rappresentano la parte prevalente.

A dirigerlo è Paola Romagnani, selezionata tra i 16 migliori ricercatori  su 10 mila. Si studia l'uso delle staminali renali.

Non è un caso che una così importante scoperta relativa ad una malattia renale sia stata fatta in Toscana. In questa Regione, infatt,i anche grazie ai fondi europei è stato recentemente organizzato un Laboratorio di Eccellenza Universitario-Ospedaliero per gli studi renali che si compone di 12 ricercatrici tra cui biologhe, biotecnologhe e medici e dispone di tutte le nuove metodiche più avanzate per la diagnostica e la ricerca. A dirigerlo è proprio la Prof.ssa Paola Romagnani, la stessa che ha scoperto l’esistenza delle staminali renali  e che proprio in questi giorni firma uno studio che individua uno dei geni responsabili dell’ipoplasia renale.

La scoperta è frutto di una ricerca congiunta Meyer – Montreal Children’s Hospital

Sei anni di ricerca per conoscere meglio il rene, e in particolare la sua capacità di rigenerarsi, hanno portato ad una scoperta molto importante relativa ad una malattia, l’ipolasia renale, che stando ai suoi numeri non può definirsi rara. A firmare la scoperta è stata un’italiana, la professoressa Paola Romagnani dell’Università di Firenze e responsabile dell’Unità di Nefrologia dell’Ospedale Meyer. La ricercatrice fiorentina, lavorando in collaborazione con il Montreal Children’s Hospital (Canada), ha scoperto il primo gene che determina nei bambini l’alterazione della funzione delle cellule staminali nel rene, causando la comparsa di ipoplasia renale. Un’anomalia di quelle stesse cellule staminali del rene che fu proprio la nefrologa  a scoprire nel 2006.  Il gene imputato si chiama OSR1- Odd-Skipped Related: è la sua alterazione che rende possibile una diminuzione della grandezza dei reni già alla nascita, una delle cause più frequenti di dialisi in età pediatrica.

La scoperta arriva da una ricercatrice dell'Istituto di Neuroscienze del CNR di Milano

I deficit di apprendimento e memoria sono correlati con l’alterazione dei ritmi del sonno e della veglia: lo dimostra uno studio condotto sul modello animale di una forma genetica di ritardo mentale e pubblicato su Nature Neuroscience da Maria Passafaro, ricercatrice dell’Istituto Telethon Dulbecco che lavora a Milano presso l’Istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche. “Le nostre capacità cognitive sono influenzate dai ritmi circadiani, ovvero dalla scansione delle lancette di una sorta di orologio molecolare interno all’organismo – spiegala dottoressa Passafaro - A regolare il ritmo delle lancette sono dei particolari geni la cui attività oscilla nell’arco delle 24 ore, definendo così l’alternanza di sonno e veglia nel corso della giornata. In questo studio abbiamo dimostrato per la prima volta che esiste una correlazione tra una forma genetica di ritardo mentale legato al cromosoma X e il rallentamento del ritmo delle oscillazioni dei geni orologio”.

Il loro genoma deriva per il 35 - 55 dal ceppo europeo, smentita la tesi che li voleva isolati.

La popolazione degli ebrei Askenaziti da tempo interessa la scienza e ben al di là delle recentementi analisi gentiche che sostengono che Hitler ne fosse discendente. Questo popolo è noto per la longevità, il numero dei centenarin e la maggior frequenza di alcune malattie rare come la Tay Sachs e la Niemann-Pick. Si riteneva fino a poco tempo fa che fossero rimasti un gruppo isolato e geneticamente poco vario. Basandosi du questo llo studio The Natural History of Ashkenazi Intelligence aveva sostenuto che questi avessero un maggiore quoziente di intelligenza a causa delle persecuzioni che li avrebbero costretti ad affinare l'intelletto per sopravvivere, una teoria che la maggior parte degli scienziati aveva rifiutato. A smentire l'iipotesti è arrivata ora una ricerca condotta dagli scienziati della Emory University School of Medicine i cui risultati sono pubblicati negli Atti della National Academy of Sciences.

La distrofia muscolare Emery-Dreifuss (EDMD) è una malattia neuromuscolare caratterizzata principalmente da debolezza muscolare e atrofia, con comparsa precoce di contratture tendinee e cardiomiopatia.  Per questo malattia, che attualmente non ha alcun farmaco a disposizione, sono stati osservati modelli diversi di trasmissione: autosomica dominante, autosomica recessiva e legata all'X. Quest’ultima forma nasce da mutazioni nel gene EMD, che codifica per una proteina chiamato emerina. Uno studio, appena pubblicato sul Journal of Human Genetics e condotto da una equipe comprendente ricercatori inglesi e americani, ha individuato, partendo dallo studio di 255 pazienti nordamericani con EDMD, ben otto nuove mutazioni genetiche.

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