Facciamo chiarezza sugli aspetti clinici e genetici di questa rara patologia

Un recente articolo pubblicato su Orphanet Journal of Rare Diseases ha delineato con chiarezza gli aspetti clinici e diagnostici della fibrodisplasia ossificante progressiva (FOP), una rara malattia ereditaria che interessa il tessuto connettivo. La patologia, gravemente invalidante, è caratterizzata da malformazioni congenite degli alluci e una progressiva ossificazione eterotopica: delle ossa qualitativamente normali si sviluppano in siti extrascheletrici. La FOP ha un'incidenza mondiale di circa 1 caso su 2.000.000. In età pediatrica l'unica manifestazione della patologia è rappresentata dalle malformazioni congenite degli alluci.

La malattia è caratterizzata da bassa statura, ridotta mobilità articolare, brachidattilia, sordità mista e ritardo mentale di gravità variabile


La malattia è rarissima, se ne conoscono circa 30 casi in tutto eppure la ricerca non ci è fermata davanti alla malattia di Myhre ed è riuscita a scoprirne la causa genetica. I risultati dello studio, condotto da una squadra di scienziati italiani coordinati da Marco Tartaglia, ricercatore Telethon dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma e al quale ha partecipato anche il Prof. Bruno Dallapiccola. La scoperta del gene coinvolto nella malattia, che causa una peculiare struttura muscolare ed è caratterizzata da bassa statura, ridotta mobilità articolare, brachidattilia, sordità mista e ritardo mentale di gravità variabile e anomalie scheletriche, è stata possibile grazie alle più moderne tecniche di indagine sul genoma umano. I risultati di questo studio sono stati appena pubblicati sull’American Journal of Human Genetics. “Il gene responsabile non si conosceva - ha spiegato Marco Tartaglia - ma i segni clinici erano ricollegabili a quelli di un piccolo gruppo di malattie dello sviluppo causate da una specifica alterazione di meccanismi di segnalazione intracellulare, similmente a quanto succede nel gruppo di malattie genetiche che studiamo da anni, grazie al supporto di Telethon. Da qui il nostro interesse per identificare il gene responsabile di questa rara malattia genetica che si è concretizzato grazie alla collaborazione con colleghi che si erano imbattuti in alcuni casi di questa sindrome”.  

Pubblicata su Arthritis Research & Therapy un'analisi del ruolo dell'interleuchina 21 nella patologia

“Francamente non c'è nessuna terapia per la Sindrome di Sjogren”, questo è il punto di partenza dell'articolo di R. Hal Scofield, Professore all'Università dell'Oklahoma, che sulla prestigiosa rivista medica parla degli attuali risultati della ricerca in merito alla Sindrome e delle novità che stanno via via emergendo grazie agli studi. “Ci sono terapie che trattano i sintomi, - afferma Scofield - ma non ce n'è nessuna che tratti la sottesa patofisiologia. Il motivo è che non è stato possibile identificare la causa immunologica o biologica della Sindrome.” I ricercatori purtroppo non sono ancora in grado di capire quale presunto evento immunologico porti al manifestarsi ed al perpetuarsi della patologia, la situazione sembra però poter cambiare grazie a recenti studi.

Lo dimostra un ampio studio retrospettivo mondiale condotto dall’Università della California

L'atresia biliare (BA) è un difetto raro, di origine sconosciuta, che si manifesta nel periodo neonatale. È la causa più comune di ittero chirurgico colestatico in questa fascia di età, non è ereditaria e la causa non è nota. La diagnosi viene sospettata in presenza di ittero neonatale, feci discromiche e epatomegalia. I successivi accertamenti consentono di verificare lo stato delle vie biliari e di escludere altre cause di ittero colestatico neonatale. Il quadro istopatologico mostra di solito un danno infiammatorio dei dotti biliari intra- ed extraepatici, con sclerosi e restringimento o addirittura occlusione dell'albero biliare. Questa condizione, se non trattata, esita nella cirrosi e nella morte nel primo anno di vita. Non è attualmente disponibile una terapia farmacologia efficace; una volta che la BA è stata sospettata, deve essere eseguito al più presto, nel periodo neonatale, un intervento chirurgico (portoenterostomia di Kasai), in maniera da ripristinare il flusso biliare verso l'intestino. Nel caso in cui l'intervento di Kasai fallisca o insorgano le complicazioni cirrotiche, può essere necessario il trapianto di fegato. È proprio per questi casi meno sfortunati che dalla California arriva una notizia interessante: se il donatore è la madre la tolleranza è migliore rispetto alla donazione paterna.

Uno studio, pubblicato su Nature Genetics, ha individuato il gene responsabile

Fino ad oggi era difficile capire bene di che malattia si trattasse e da che cosa potesse derivare. La diagnosi definitiva e certa poteva essere fatta solo in seguito al decesso, mediante autopsia. Quello che si sapeva della leucoencefalopatia ereditaria diffusa con sferoidi (Hereditary Diffuse Leukoencephalopathy with Spheroids) nota anche con la sigla di HDLS è che una volta che la malattia si manifesta il paziente è destinato ad una morte precoce, tra i 40 e i 50 anni, a causa del danno progressivo che si produce nella materia bianca cerebrale. Ora al tassello delle conoscenze se ne aggiunge però una importante, il nome del gene che ne è responsabile.

In Italia a condurlo è stato il prof. Antonio Orlacchio della Fondazione Santa Lucia di Roma

La ricerca ha compiuto un altro passo avanti nella comprensione delle cause genetiche di una delle varie forme attualmente note di paraplegia spastica ereditaria, rara malattia neurodegenerativa di origine genetica. E’ stato infatti scoperto un nuovo gene implicato nell’insorgere della malattia: sin chiama RTN2 e contiene informazione per la codifica della proteina reticulone 2. La scoperta è appena stata pubblicato sulle pagine del Journal of Clinical Investigation da Antonio Orlacchio, responsabile del laboratorio di Neurogenetica dell’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma e docente di Neurologia presso il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Roma Tor Vergata. Lo studio che ha reso possibile aggiungere questo tassello alla conoscenza della malattia è stato finanziato da Telethon. Con l’aggiunta di questo nuovo gene sono 23 quelli già individuati dalla scienza e che hanno un ruolo nella patologia.   

Anni fa i ricercatori del Bambino Gesù avevano dimostrato l’esistenza di cardiopatie congenite in questi pazienti.

Sul numero di gennaio, la rivista American Journal of Medical Genetics presenta i risultati di uno studio che ha coinvolto Maria Cristina Digilio e Bruno Dallapiccola dell’Ospedale Bambino Gesù e il Centro di Genetica Umana di Charleroi e dell’Università Cattolica di Lovanio, che ha portato all’identificazione di un gene responsabile della sindrome di Kabuki. Questa malattia rara, identificata per la prima volta 30 anni or sono, è una delle più peculiari tra le sindromi dismorfiche, caratterizzata da alterazioni del viso, ritardo psicomotorio medio-moderato, alterazioni scheletriche e, come dimostrato una decina di anni fa da una ricerca svolta nel nostro Ospedale, cardiopatie congenite consistenti, in un terzo dei casi, dalla coartazione dell’aorta. La sindrome prende il nome dall’allungamento e dall’eversione del terzo esterno della palpebra inferiore, che conferisce agli occhi un aspetto reminiscente di quello prodotto dal trucco negli attori del teatro giapponese Kabuki.

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