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Annalisa, ci racconta la storia del suo bimbo: "Vorrei che questa malattia si conoscesse di più"

NAPOLI - Nessun medico ha preso l'ipotesi in considerazione per mesi. Non avrebbero mai creduto che quel test lasciato per ultimo avrebbe dato risposta positiva: deficit della proteina C del surfattante. E' una malattia genetica rarissima, negli ultimi 10 anni è stata diagnosticata in 9 bambini circa. Per Raffaele come per gli altri è stata fatale: il 21 agosto scorso, dopo 5 mesi di ricovero in terapia intensiva all'Ospedale Santobono di Napoli, la malattia lo ha portato via. La mamma, Annalisa, ha scelto di raccontare la storia del suo angelo a Osservatorio Malattie Rare. “Parlarne è doloroso - dice - ma può servire a far conoscere questa malattia, a far si che la diagnosi arrivi prima. Noi l'abbiamo saputa proprio alla fine, perchè Raffaele ha resistito moltissimo nonostante cuore e polmoni fossero devastati: chissà quanti, però, non hanno mai una diagnosi”. Anche se al momento non c'è una cura, essere al corrente della malattia è importante per conoscere il rischio genetico e valutarlo in caso di altri figli. Il fatto, poi, che una malattia sia sotto diagnosticata è già da solo un ostacolo alla ricerca. "Raffaele è nato l'8 gennaio 2009, era un bambino sano - racconta Annalisa - fino a dicembre nessun problema particolare, a 10 mesi cominciava già a camminare, era molto vivace". Annalisa ormai parla con una competenza medica eccezionale, quella di una mamma che non solo ha ascoltato i medici, ma che si è data sa fare per contattare centri specializzati in tutto il mondo, e che oggi sta continuando a cercare informazioni.

“A un certo punto ho detto basta al cortisone e sono entrata nel trial. L’alternativa era l’intervento per togliermi la milza”.

Conchita la puoi trovate su Facebook. Ti colpisce per il suo sorriso, non penseresti, se non fosse lei a dirlo parlando anche dell’associazione di cui fa parte- l’Aipit -, che la prima parte della sua vita sia stata segnata da una malattia rara, la porpora trombocitopenica idiopatica. Conchita ha 37 anni, la malattia si è manifestata quando ne aveva solo sette e, se pur non ha mai avuto eventi di sanguinamento gravissimi, ha condizionato la sua vita di bambina e di adolescente. “Il periodo peggiore – racconta - è stato durante l’adolescenza. E’ stato allora che ho iniziato a sentirmi una “bambola di cristallo”. Mi guardavo allo specchio e vedevo ematomi ovunque. E senza peraltro sapere perché comparissero. Mi dicevo: ma dove ho picchiato?.

L’incontro è avvenuto grazie all’appello lanciato da O.Ma.R

Il piccolo Antonio affetto delezione del cromosoma 2q37, una malattia che conta poco più di 100 casi in letteratura medica, non è più un caso unico. Grazie alla nostra testata, infatti, si è riusciti a trovare un altro caso, in Italia, della stessa malattia. Una bella notizia arrivata in redazione questa mattina, proprio quando, dopo quasi tre settimane, cominciavamo a perdere le speranze.

Mattia è nato nel maggio 2008 e la sua vita è segnata da una malattia che non ha ancora un nome preciso ma che lo ha già costretto a fare tante visite e girare tanti centri. La malattia avanza, mamma Lucia e papà Roberto prendo nota di tutto quello che accade, ogni esame, ogni sintomo di quello che non esitano a definire un calvario. Un calvario dovuto alla malattia, certamente, ma anche al loro sentirsi soli, senza una diagnosi precisa – per ora si sa solo che il bimbo è affetto da una forma rara di leucodistrofia, una degenerazione progressiva della sostanza bianca cerebrale, dovuta ad una perdita della mielina  - e un po’ abbandonati. Non solo perché non esiste una cura,  ma anche perché – raccontano nel diario on line su Facebook – i medici non sembrano così solerti, nessuno dice nulla e loro spesso si sono informati da soli, sul web e tramite l’Associazione europea contro le leucodistrofie. La storia di Mattia è stata pubblicata ieri on line sul Gazzettino, a firma di Olivia Bonetti.

Che la soluzione non sarebbe potuta arrivare dal Ministero era prevedibile ed, infatti, a risolvere il problema di Martina, la bimba di 8 anni affetta dalla rarissima malattia di Kimura, ha pensato direttamente la Ausl di Parma. Lo ha fatto attribuendo alla piccola, la cui malattia non è inclusa nella lista di quelle esentate dal nostro sistema sanitario nazionale, un codice provvisorio di esenzione dal ticket.

 “Vorrei conoscere le altre mamme, per confrontarci sull’evoluzione”. In letteratura ne sono stati descritti poco più di 100 casi

“Sono la mamma di un bambino di 4 anni affetto da delezione del braccio lungo del cromosoma 2q37.2 scoperta 2 anni fa tramite indagine genetica in quanto mio figlio non iniziava a parlare. Da quando l'abbiamo scoperta siamo alla ricerca di almeno un altro bambino che abbia avuto questa malattia. Vorrei contattare un'altra mamma con il mio stesso problema per poterne conoscere meglio anche l'evoluzione. Come mamma mi spaventa molto non poter avere un termine di confronto e mi sento sola”.
Avere a che fare con una malattia rara, o rarissima, come quella del piccolo Antonio, vuol dire anche questo: sentirsi soli, non sapere con chi parlarne, con chi confrontarsi per capire che tipo di decorso sta avendo la malattia. Così la mamma, Antonella, ha deciso di lanciare un appello attraverso la nostra testata.

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Ha 8 anni e la malattia di Kimura, una patologia molto diffusa in oriente ma che in occidente è rarissima: Martina, così si chiama la bimba, in Italia è la prima con questa diagnosi. Un ‘imprevisto’ per il nostro sistema sanitario che non le riconosce – così come accade per tantissime altre malattie rare – alcuna particolare esenzione. Un problema che si aggiunge al dramma della totale mancanza di farmaci specificamente approvati per questa malattia e anche di progetti di ricerca dedicati. Per lei si prospetta un futuro fatto probabilmente di cortisone e di altri farmaci che dovrebbero attenuare i sintom, e di molte visite mediche, tutto a carico della sua famiglia. I genitori hanno così deciso di segnalare il loro caso con una lettera aperta dove specificano bene di non chiedere soldi ma dignità per la figlia. Una dignità che viene invece messa in forse dal fatto stesso che a questa malattia non sia riconosciuta la gravità che invece ha.

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