Il bambino 23

In un volume autobiografico, il giornalista Stefano Buttafuoco racconta la patologia di suo figlio Brando, colpito da una particolare variante della sindrome di West 

Nel mondo esistono soltanto 22 bambini come Brando. Come lui ne nasce uno ogni centinaia di milioni: se decidi di giocare alla roulette russa ogni giorno, per tutti i nove mesi della gestazione di tuo figlio, hai molte più probabilità di farla franca. È un memoir scritto di getto e senza autocompiacimento “Il bambino 23. La storia e i sogni di Brando” (Rai Libri). L’autore, Stefano Buttafuoco, è un giornalista e conduttore Rai e Brando, suo figlio, è il 23esimo caso registrato sul pianeta di persona con una particolare variante della sindrome di West, riconducibile a una rarissima mutazione genetica. “Bambini innocenti colpiti dalla crudeltà del Caso, da un Destino che non guarda in faccia nessuno”, scrive l’autore. “Assieme a loro, 23 famiglie a cui viene stravolta la vita e che vengono gettate nel baratro, senza preavviso, senza aver preparato lo straccio di un bagaglio per un viaggio verso una meta sconosciuta. Lungo il quale, di certo, non ti godrai il percorso”.

Arianna Ricchiuti

Attraverso un racconto breve, la giovane divulgatrice scientifica Arianna Ricchiuti spiega cosa significhi vivere con una malformazione dei vasi sanguigni

La passione per lo spazio da tutta la vita, una laurea in biologia, un master in comunicazione scientifica e ora il lavoro alla European Space Agency: Arianna Ricchiuti vive in Olanda, ma ogni tanto torna in Italia per la famiglia, gli amici e, purtroppo, anche a causa della sua patologia, l’angiodisplasia venosa. Proprio in questi giorni è dovuta rientrare nel suo Paese perché il primo marzo è stata sottoposta al 44esimo intervento alla gamba destra, quella che è stata colpita dalla malformazione e che, per questo, necessita di interventi chirurgici periodici. “Vivendo all’estero è tutto più complicato e con il COVID-19 la situazione è ovviamente peggiorata: questo intervento avrei dovuto farlo a gennaio”, commenta Arianna. “Durante il Master in Comunicazione della Scienza alla SISSA di Trieste ho scritto il racconto “Nebulose sulla pelle”: descrivere le mie vene attraverso immagini astronomiche è stato catartico, e mi ha portata ad una maggiore consapevolezza e accettazione del mio problema. Spero che questo testo possa avere lo stesso effetto su chi lo leggerà”.

Arteria

Una donna attiva e dinamica si trova a fare i conti con una malattia di cui non aveva mai sentito il nome: l’incontro con una neurologa le ha permesso di capire come guardare avanti 

La vita di Giuliana è cambiata, da un giorno all’altro, nell’agosto di quel fatidico 2020, già segnato dai primi mesi spiazzanti della pandemia di COVID-19. Mentre si godeva il piacere dell’estate nella sua casa di campagna sull’Appennino Reggiano, già da qualche giorno Giuliana aveva cominciato ad avvertire dolori allo stomaco e agli arti, debolezza e inappetenza. Pensando si trattasse di una comune gastrite, al principio aveva trascurato quei segnali, ma poiché il malessere persisteva, e anzi peggiorava, qualche giorno dopo ha deciso di andare in ospedale, nella vicina Castelnuovo Monti, per scoprire, con grande stupore, di essere stata colpita da un infarto e che questo infarto era ancora in corso. Dopo tre giorni in terapia intensiva, e un successivo passaggio in reparto per riprendersi completamente e svolgere gli accertamenti del caso, è arrivata la diagnosi: displasia fibromuscolare (FMD), una malattia che Giuliana non aveva mai sentito nominare prima di quel momento. 

Dolore

I primi sintomi sono iniziati intorno ai 12 anni, ma la diagnosi è giunta dopo più di 3 decenni

“La mia storia di malattia è iniziata molti anni fa. Avevo appena 12 anni, soffrivo frequentemente di dolori muscolari e, a un certo punto, mi era pure comparsa una macchia violacea sulla parte superiore della schiena. I dolori talvolta diventavano fortissimi, quasi insopportabili. Poi mi si erano pure gonfiate le ghiandole del collo e accusavo un’ansia tremenda. La sofferenza fisica diventava spesso anche sofferenza psicologica, un disagio profondo che intersecava anima e corpo. Inoltre avevo la sensazione di non essere compresa. Anche da parte dei miei familiari, il che aggravava ulteriormente il mio stato”. Sono le parole di Daniela, che oggi ha 53 anni e ha deciso di raccontare la sua storia all’Osservatorio Malattie Rare, sperando che il suo doloroso percorso possa essere utile ad altre persone.

Neonato

La mamma del bambino: “Vorrei conoscere altri genitori che lottano contro questa rarissima sindrome”

Napoli – Andrea aveva due mesi quando la madre Anna, tenendolo in braccio, si accorse che inarcava la colonna vertebrale in un modo innaturale: una sorta di irrigidimento, che sembrava denotare una tensione muscolare. In altre occasioni non riusciva a stare seduto né a tenere il capo sollevato, come se non avesse forza. Oggi Anna sa bene che quei sintomi si chiamano rispettivamente ipertonia e ipotonia, e sa anche che la causa di queste e di altre manifestazioni cliniche è una malattia rara provocata dalla mutazione di un gene chiamato SPTBN2.

Paziente pediatrico

“Sappiamo che in Italia dovrebbero esserci altri 2-3 casi: siamo disponibili a scambiarci esperienza e pareri”

Samantha è mamma di due bambini, Crystal di 4 anni e Giuseppe di un anno e mezzo, entrambi colpiti dalla delezione cromosomica 2p16.3. Insieme al marito ha contattato la redazione di OMaR per trovare altre famiglie che vivano la loro situazione e che abbiamo figli con la stessa delezione cromosomica dei loro bambini, che ha causato a entrambi anomalie cerebrali.

Maya Colombo

L’ASST Gaetano Pini-CTO è centro di riferimento in Italia per questa malattia rara e disabilitante che colpisce i polsi

Milano – “Avevo 18 anni e dovevo chiedere aiuto ai miei genitori anche per indossare gli abiti perché il dolore ai polsi bloccava qualsiasi mio movimento. Frequentavo il Liceo Artistico e, non poter aver la massima manualità, era un limite invalicabile per me. Passavo le giornate a piangere e i medici non riuscivano a trovare l’origine del mio dolore. Finché non sono arrivata al Presidio Ospedaliero Gaetano Pini e ho incontrato il dott. Ugo Dacatra che ha dato finalmente un nome alla mia malattia: deformità di Madelung”. Maya Colombo, paziente dell’ASST Gaetano Pini-CTO, ripercorre ancora con sofferenza l’esordio della sua malattia. Oggi ha 42 anni e, sottolinea, se i chirurghi della mano del Presidio Pini non l’avessero presa in cura oggi sarebbe invalida e impossibilitata a svolgere le mansioni di OSS (Operatore Socio Sanitario). 

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